“Abitiamo in un paradiso terrestre ma non ci curiamo di saperlo.”
Così lo scrittore russo Fëdor Dostoevskij descrive una delle più grandi mancanze dell’uomo.
Sono anni ormai che in Italia si parla del fenomeno della cosiddetta ‘fuga di cervelli.’
Questo è un processo che coinvolge da molto tempo neolaureati, neodottorati e giovani aspiranti lavoratori che si trovano costretti ad abbandonare il nostro prezioso paese in vista di migliori posti professionali.
In realtà sul verbo ‘costretti’ si potrebbe aprire un dibattito infinito: siamo noi, uomini e donne Italiani, veramente costretti a cercare un posto più sicuro all’estero? O forse il nostro progressivo pessimismo ci esorta a condannare ormai quasi in maniera definitiva il nostro paese come ‘finito ed invivibile.’?
Ma partiamo prima da alcuni dati.
Nel 2014 gli italiani emigranti erano stati circa 101.297, con una netta crescita del 7,6% rispetto al 2013; lo scorso anno invece, secondo i dati diffusi dalla Fondazione Migrantes, sono stati 107 mila, soprattutto under 35.
Ciò che spaventa di più le nostre università è il mancato progresso ‘minato proprio dal fenomeno della fuga di cervelli’, come spiega il rettore della Bocconi, Andrea Sironi.
Arriviamo ad avere 1/4 degli studenti stranieri che la Francia attrae e 1/3 di quelli tedeschi.
Ci troviamo in un periodo di stallo, in cui rimaniamo faticosamente a galla grazie alle bellezze inestimabili che il nostro paese ci offre e che continuano ad attrarre turisti da tutto il mondo. Ma ci si ferma al turismo, a quei visitatori stranieri che decidono di prendersi qualche settimana di ferie per apprezzare i nostri tesori, non si vede l’Italia come ‘il posto migliore dove studiare e lavorare.’
E’ vero che le nostre università sono fra le migliori al mondo da un punto di vista didattico ma vi è ancora, in molti casi, un contrasto netto tra ‘teoria’ e ‘pratica’ e quest’ultima sembra esser preferita molto di più all’estero.
“Il punto centrale è che bisogna aprirsi, bisogna trovare il modo di essere attrattivi, a me interessa quanto attraiamo altri talenti, aprendosi alla competizione internazionale.” Con queste parole il presidente del Consiglio Matteo Renzi affronta la questione: bisogna esser aperti di mentalità per riuscire ad essere di nuovo un paese stabile all’interno del fronte europeo.
Ma la domanda vera è: come possiamo svincolarci da questa situazione di stallo che ormai sempre più affligge il nostro paese?
In molti risponderebbero ‘non andandosene in giro per il mondo a ‘cercare fortuna’ ma andando avanti ognuno nel proprio piccolo. D’altronde le cose non cambieranno mai se gli italiani continuano ad abbandonare l’Italia.’
Altri invece replicherebbero che ‘essendo tale la situazione, laurearsi qui e cercare di trovare lavoro risulta solo esser uno spreco di tempo o un illusione che rimarrà tale fino a quando, una volta trovato finalmente un impiego, si realizzerà di non esser felici come si desiderava.’
Non bisogna però confondere la stanchezza mista a delusione che si prova dopo molto tempo senza lavoro con quella curiosità spasmodica che spinge molti giovani alla ricerca di nuove avventure. Questo ‘fenomeno’ non riguarda semplicemente il nostro paese ma è la chiave di volta che differenzia lo spirito vero e proprio di un viaggiatore, un amante del mondo.
Quel ‘cambiare aria’ di cui tanto si sente parlare non significa non credere nella crescita progressiva del proprio paese ma si tratta di un piacere immenso che si prova nel conoscere nuovi ambienti, nuove usanze, nuove routine, di entrare in contatto con una realtà completamente differente che porta ad un incontro culturale non indifferente.
Personalmente la vedo come un ‘do ut des’ e credo che noi come italiani abbiamo molto da dare: in primis a noi stessi, al nostro paese per arrivare a quella apertura mentale di cui abbiamo bisogno e per togliere quella stonata nota di pessimismo che risuona ormai da troppo tempo nella nostra penisola; poi anche al resto del mondo perché possediamo il 73% del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, perché abbiamo una cultura inestimabile che si dirama su tutti i campi e di cui dobbiamo andare fieri.
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