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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Man Next Door”- Massive Attack
Saper scrivere storie significa, soprattutto, viaggiare altrove, creare una realtà da qualche parte nella mente e buttarcisi a capofitto per, possibilmente, non fare più ritorno. Ma il viaggio solitamente non dura molto: tempo di decollare che già siamo atterrati, eppure qualcuno riesce a perdersi definitivamente. Solo un genio come Edgar Allan Poe poteva morire lasciando dietro di sé la scia di mistero tipica dei suoi stessi libri.
Più che lo scrittore in sé per sé, conosciamo la sua fronte chilometrica e il genere a cui si dedicò per tutta la vita: il nome Poe si può solo che associare al giallo.
Facendo vedere la sua foto in diretta, a qualcuno è sembrato vagamente viscido, un tipo strano che scrive storie altrettanto strane. E se vogliamo dirla tutta, le prime impressioni non sbagliano mai: Poe sposò sua cugina di soli 13 anni quando lui ne aveva 27. All’epoca non era da considerarsi scandaloso e fu la madre stessa di Virginia a suggerire l’unione, ma per noi risulta comunque scioccante. Da questo punto in poi, la storia comincia a complicarsi. Virginia morì di tubercolosi il 30 gennaio del 1847 e Poe non si riprese mai dalla prematura scomparsa di sua moglie: soffrì di depressione e aritmia per molto tempo, era distrutto. Il 27 settembre di due anni dopo, decise di recarsi a Filadelfia per risolvere alcuni affari. Peccato che, a Filadelfia, non ci arrivò mai.
Fu invece trovato in stato confusionale, “in grande difficoltà e bisogno di immediata assistenza” da Joseph Walker per le strade di Baltimora – a poco meno di due ore di macchina da Filadelfia-. Poe delirava, indossava vestiti non suoi e non riusciva a reggersi in piedi, ma comunicò un unico nome al suo soccorritore: quello di Joseph Snodgrass, un suo amico editore. Snodgrass si recò immediatamente a Baltimora con uno zio dello scrittore e viste le terribili condizioni in cui versava Poe, decisero di farlo ricoverare nell’ospedale più moderno della città. Il 7 ottobre del 1849, il maestro dell’orrore si spegneva, delirante, a soli 40 anni, a causa di quello che i medici definirono come “delirium tremens”: in poche parole, per abuso di alcol. Considerato che, dopo la morte della moglie, oppio e alcol avevano iniziato a circolare spesso per il suo corpo, la diagnosi finale sembrava assolutamente logica: ma la risposta non è sempre la più scontata.
Non aveva senso per Poe trovarsi a Baltimora. Non aveva parenti o amici lì: niente di niente. E in ospedale continuava a ripetere incessantemente il nome Reynold, mai ricollegato ad una persona specifica in tutti questi anni. Sulla sua tomba, poi, ogni giorno, dopo la sua morte, si trovavano una bottiglia di cognac e tre rose fresche posizionate sempre nello stesso modo. A volte, il misterioso donatore lasciava delle annotazioni. Insieme alle normali frasi di rimpianto, come “Non ti dimenticherò mai”, appariva anche questa strana metafora: “La torcia verrà passata”. Per quanto sia molto probabile che Poe sia morto per abuso di alcol, ci piace pensare che abbia deciso di creare la sua ultima, indimenticabile storia nel modo più teatrale possibile: cerchiamo la persona a cui è destinata la torcia, ci illuminerà la via per la risoluzione del mistero. La torcia verrà passata.
Scritto da: Alice Franceschi
Written by: Aurora Vendittelli
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