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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Rumors”- Kings of convenience
“Come può qualcuno aspettarsi che tu risolva tutti i problemi a te rivolti? Ne avevano troppi e le tue braccia troppo poche. Non lasciare che ti dicano, non lasciare che ti dicano chi sei.”
Non faceva altro che ripetere questa frase: “Non lasciare che ti dicano, non lasciare che ti dicano chi sei.” Sembra un mantra nascosto nei suoi capelli vivaci, colmi di tristezza e speranza. Un nido dove ogni tanto nascondeva quella bambina che aveva dimenticato, per strada, con un aquilone nella mano e un fiore non ancora sbocciato che le sbucava tra le braccia.
Lei non aveva dimenticato chi fosse, anche se ogni tanto sentiva chiamarsi per nome, in quel modo in cui il mondo ti spezza il fiato in mille pezzi. Questo autunno fa rumore, e non solo per le foglie, gli alberi, il vento. C’è qualcos’altro nascosto che crea scompiglio e leggerezza ed è la vicenda di una giovane donna ancora bambina, in cerca della sua storia.
Un racconto perduto nel tempo, ma ritrovato in una bambola, che comincia così: “Non sempre un addio è un sostantivo senza nome. Un rimorso con una lacrima sul viso, oppure un super eroe senza mantello che torna a casa, senza aspettative. O un treno in cerca dei suoi binari. Un addio è una parola che sfuma nell’indistinto e cresce nel tempo dell’attesa, mentre aspetta alla fermata dell’autobus l’arrivo di un fiore.”
Fra le righe è in partenza, cercando la storia di quella giovane donna bambina, abbracciando Kafka e la sua bambola viaggiatrice: “Dietro ogni fine c’è sempre un nuovo inizio.”
“Da bambina mi avvicinavo alla finestra, scostavo leggermente la tenda, ma non riuscivo ad essere all’altezza del panorama, quindi mi arrampicavo sul comodino di legno e avevo davanti a me un riflesso che non riuscivo a contenere nella mia pancia, nella mia testa. I gabbiani che sussurravano alle nuvole la grandezza del cielo, gli aquiloni che tremavano alla vista di ciò che gli attendeva giù, in basso.”
Un sospiro non bastò per quietare la sua voglia di raccontare la sua storia.
“Desideravo che il mare mi catturasse nella sua immensa trasparenza, negli abissi più profondi, dove mi sentivo al sicuro. E poi c’era la bambola, che mi aveva tradito. I miei genitori mi dissero che non voleva giocare con me, allora se n’era andata nell’armadio, verso altri mondi sconosciuti. Volevo ribellarmi, così mi feci tagliare i capelli cortissimi, perché desideravo un’altra identità, volevo somigliare a qualcun altro. L’unico obiettivo era allontanarmi, almeno per un po’, da me stessa.”
L’autunno spezzava la malinconia che pian piano fuoriusciva dai suoi capelli, così nervosi e liberi di poter rivedere il riflesso del passato nello specchio del lago, che si offriva davanti a lei, ed accettarlo finalmente.
Il suo viso aveva degli angoli luminosi, le mani si agitavano a dir poco imbarazzate, nell’aria. Il posto in cui si sentiva a suo agio era su quella finestra, con le cuffie e lo sguardo rivolto verso ciò che non riguardava la sua vita reale.
“Un giorno incontrai una persona nel parco, avevo solo otto anni. Piangevo a dismisura, perché il mio pupazzo non c’era più, fin quando non incontrai qualcuno che mi ha cambiato la vita..”
“Raccontai a questo uomo con la bombetta, un bastone di legno che portava sempre sotto il braccio e dei baffi compunti, con degli angoli spigolosi del volto, come persi la mia bambola. Quando avevo otto anni e due piccole gambe che si arrampicavano ovunque, desideravo un pupazzo a forma di animale da poter portare a spasso ovunque. Lo avevo sempre con me, fin quando non tornò mai più. Persi le speranze e cosa successe? L’uomo dal viso spigoloso, mi disse che la bambola era partita per un lungo viaggio e ogni giorno ci incontravamo al parco e mi consegnava una lettera scritta dal mio presunto pupazzo.”
Continuò a raccontarmi la sua storia, sembrava fosse tutto lì, una vicenda a lieto fine, ma un colpo di scena è avvenuto. Le chiesi che fine aveva fatto quell’uomo e soprattutto come finì la vicenda, se lei ebbe la sua bambola, mentre l’autunno era alle porte per scagliare l’ultima folata di vento sui nostri discorsi.
“Venne un giorno al parco, insieme alla sua dolce moglie, con in mano un nuovo pupazzo. Mi accorsi che era cambiato, era diverso. Ero fermamente convita del ricordo che avevo della sua immagine, così chiesi spiegazioni del cambiamento improvviso e lui mi diede un altro biglietto della bambola, in cui c’era scritto che i viaggi l’avevano cambiata. E finì così, non vidi più quell’uomo.”
Da lontano una donna ben composta, serena nell’aspetto si diresse con fare elegante verso di noi e sorrise con le lacrime agli occhi verso Elsi, la protagonista di questa storia e le disse di guardare dentro la bambola che c’era un biglietto per lei. La giovane donna, aprì davanti i miei occhi, quel biglietto che era lì da ben 25 anni, in cui quell’uomo Franz Kafka le scrisse questo:
“Ogni cosa che tu ami è molto probabile che tu la perderai, però alla fine l’amore muterà in una forma diversa.”
Written by: Francesca Aiello
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