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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Treat people with kindness” – Harry Styles
Quale parola ci rende umanamente migliori?
Di primo acchito molti penseranno ad empatia, simpatia e compassione: ok ma… scremiamo. Sim-patire e cum-patire hanno lo stesso etimo, “soffrire con”, rispettivamente da greco e latino, ma in italiano, come sappiamo, queste “cugine” si sono separate ed oggi significano cose diverse. Sorvoliamo quindi sulla simpatia, “mutante etimologico” rispetto al significato originale: tanto lo sappiamo che essere simpatici è sempre bene, non occorre parlarne!
Le due regine: Empatia e Compassione
Le regine incontrastate, nel rapporto con gli altri, sono empatia e compassione… incontrastate, oddio, per alcuni sarebbero in contrasto fra loro, ma andiamo per gradi: sappiamo che compassione sta per “soffrire con”, anche empatia viene dal verbo patire, unito alla particella em-, cioè “in”.
“Soffrire con” VS “Soffrire in”… cioè?
Be’ l’empatia è la capacità di “metterci nello stato d’animo” dell’altra persona, soffrire come se fossimo nell’altro, sentendo direttamente quello che sente lui.
La compassione invece ci mette fuori dall’altra persona, la sua sofferenza non è la nostra ma la vediamo da vicino; è la capacità di comprendere l’altro, anche essendo diversi.
Fin qui ti torna o le credevi sinonimi?
Le ragioni delle regine
Premesso che i due schieramenti hanno buone ragioni e persone valide a sostenere le loro regine, in rete troviamo sia “empathy vs sympathy” che “empathy vs compassion”: l’inglese sympathy vale sia all’italiana (gradimento istintivo verso qualcuno o qualcosa) che come sinonimo di compassion, mentre questa è sempre analoga all’italiano (atteggiamento di comprensione e soccorso verso qualcuno in pena), ma è sempre lo stesso match.
Team Empatia:
Una sostenitrice dell’empatia nota su internet è Brené Brown. “Nota su internet” non significa “youtuber che tratta argomenti sparsi”: PhD in assistenza sociale, Brené è famosa per dei TedTalk e video divulgativi, nonché autrice di alcuni libri. In breve: l’empatia è una scelta coraggiosa perché rende vulnerabili se indirizzata verso chi soffre, esponendoci direttamente a quella sofferenza. Inoltre, raramente una risposta o una reazione fanno sentire meglio chi soffre, al contrario di una profonda e sincera connessione con l’altro: è l’empatia a crearla, non la compassione, con la sua distanza.
Una pecca: nel video Empathy vs Simpathy, Brené dice che “empathy is feeling with”( soffrire con), peccato perché, svista a parte, il video spiega bene la forza dell’empatia.
Nell’altra “trincea”, Paul Bloom, psicologo PhD di Yale, ha scritto vari libri, fra cui uno su come l’empatia sia addirittura dannosa. In “Contro l’empatia. In difesa della razionalità”, Paul affronta l’altro lato della medaglia: metterci in altri panni ci espone alla sofferenza ma anche alle gioie altrui! Non fa solo soffrire, può essere piacevole ed entusiasmante! Come le bibite gasate: buone ma non salutari. Ma l’empatia… perché è dannosa? Be’ non lo è sempre: fa danni se usata come guida morale o decisionale. Se “alleno” troppo l’empatia, godendo delle emozioni positive altrui, anche quando incontrerò chi soffre sarò empatico e potrei fare due cose deleterie:
Un medico totalmente empatico non lavorerebbe. È un super riassunto, con vantaggi e limiti dei due approcci: Brown e Bloom hanno priorità diverse. L’approccio empatico aiuta sul piano emotivo, fa sentire bene l’altro nell’immediato: questo è l’importante per la dottoressa Brown. L’approccio compassionevole è razionale, meno d’impatto nel far sentire bene qualcuno, ma capace di farlo stare bene: proprio quello che interessa al dottor Bloom. La preoccupazione di Bloom, che troppa empatia crei danni (dai rapporti umani a quelli internazionali) è ragionevole, ma non riesco ad immaginare un mondo basato solo sulla compassione razionale, senza un po’ di immedesimazione nel prossimo.
E non sempre esiste la soluzione razionale: se al mio amico muore il cane la mia compassione è inutile, la mia empatia, piangerci assieme soffrendo come lui, invece aiutano -mal comune mezzo gaudio, no?-. Però, va detto, l’empatia è illusoria: non sentirò davvero il dolore dell’altro, soffrendo per quel cane come lui, non avendoci vissuto quanto lui… ma aiuta comunque.
Nella vita c’è il tempo dell’empatia e della compassione: bene o male sappiamo usarle entrambe, a seconda delle situazioni, l’importante è capire il momento!
Ok, questa conclusione “democristiana” ricorda Homer Simpson che dice “sono tutti stupidi tranne me”, ma qui “tutti” sono PhD… io quest’anno mi laureo in musica, forse.
Ma non posso farci nulla, adoro fare le pulci a tutti.
Written by: Emiliano Venanzini
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