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Musica

È tutto il resto: Talking Heads, il fronte dell’uomo qualunque e la morte del rock

today13 Maggio 2021

Background
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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Once in a life time” – Talking Heads

È il 1975. Un giovanissimo e allampanato David Byrne, che oggi compie gli anni, sta per suonare al CBGB assieme alla sua band. È un rito di passaggio per qualsiasi band di New York che vuole sperare di lasciare un segno in una scena musicale pronta a sbranare il primo che passa. Il pubblico del CBGB è difficile, giusto per usare un eufemismo. Loro sono i Talking Heads, figli di quella scatola magica ora conosciuta come televisione. David Byrne ondeggia con la sua chitarra e canta una canzone che parla di uno stalker in polo e pantaloni lunghi, come se fosse la canzone di un oratorio. Il tutto mentre il basso di Tina Weymouth –si, una donna– sovrasta ogni cosa. Il pubblico resta indifferente davanti a questi scolaretti schizofrenici. 

Il debutto dei Talking Heads si divide tra cinismo e ironia, pronto a traghettare l’America verso l’irrequietezza degli anni 80. Gli stilemi del peace and love, le complicazioni prog, così come la ribellione punk: tutto sta per essere spazzato via da una caterva di suoni che la gente definirà di plastica. La tecnologia procede a passo spedito, c’è chi la esalta e chi massacra le certezze del nuovo fronte dell’allucinazione televisivo. I Talking Heads sono alieni in un mondo alienato: tutto ciò non passa inosservato agli occhi di Brian Eno, esperto collezionista di stranezze. 

Talking Heads

Remain in light è l’album più fortunato della collaborazione. È un disco di quarant’anni che ha spaccato in due la scena musicale: dopo i Talking Heads non ci sono generi che reggano. Ogni traccia è un melting pot di rock, funk, disco e poliritmie africane. Il virtuale prende piede e si infarcisce di percussioni e loop registrati da Brian Eno con tecniche sperimentali. Un disco contorto su sé stesso, una perla destinata ad essere capita da pochi. Solo che poi la storia è andata diversamente con Once in a lifetime. 

Video musicale

And you may find yourself in a beautiful house, with a beautiful wife

And you may ask yourself, “Well… how did I get here?

Il testo concretizza l’ansia dell’uomo moderno che vive a cervello spento, con il pilota automatico: matrimonio, casa, figli… e poi si vive alla giornata. Non ci si chiede mai perché si è arrivati a tutto questo, ed è quello che fa David Byrne. Evita cinismi di sorta, ma sottolinea l’assurdità dei nostri comportamenti, così animaleschi nell’essere schematici. 

Letting the days go by, let the water hold me down

Letting the days go by, water flowing underground

Into the blue again after the money’s gone

Once in a lifetime, water flowing underground

Il sogno americano negli anni 80 non luccica più come prima. L’inquietudine di David Byrne è vissuta con spensieratezza, tra dialoghi tribali di basso e batteria e sintetizzatori. La ritmica è scostante: allo spirito funky del gruppo Brian Eno ci mette un modo raggae. Interpreta ogni terza battuta come se fosse la prima. Once in a lifetime diventa così un brano nevrotico, senza un centro di gravità preciso. Il simbolo dell’uomo davanti al mostro della crisi moderna. 

Leggi anche – È tutto il resto: Caparezza lascia l’ “Exuvia” del suo passato 

Written by: Mariahelena Rodriguez

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