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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Hells Bells” – AC/DC
È il 1960, la musica si sta risvegliando. Elvis e Little Richard hanno preso d’assalto tutte le classifiche: gli americani non solo si prodigano a salvare l’Europa, ma fanno scuola con la carica del rock. Sono oltraggiosi, sfacciati, al centro del panorama musicale. Nessuno li avrebbe schiodati dal loro podio se un uomo si fosse fatto i fatti suoi e non avesse aperto un piccolo negozio tra le strade di Londra: Jim Marshall, che oggi avrebbe compiuto gli anni.
Il primo negozio è piccolissimo, entrano a malapena otto clienti per volta. Però il posto è accogliente, non mette fretta e fa provare strumenti ed apparecchiature. Diventa un luogo di ritrovo, si crea velocemente una fila impressionante, alcuni vanno al bar vicino. Si crea un buffo paradosso: aumentano gli affari di Marshall, aumentano anche gli affari del bar. Intanto c’è tempo per aprire altri due negozi e avviare una vendita all’ingrosso. Man mano che il verbo si diffonde si palesano facce che presto diventeranno conosciute: Pete Townshend e Eric Clapton su tutti.
In Inghilterra le nuove sonorità sono un ribollire silenzioso, incapace di esplodere perché si fa fatica a trovare la strumentazione. Il mercato interno è esploso, e adesso gli americani non riescono a soddisfare la richiesta estera. I prezzi sono astronomici e la vendita all’ingrosso di Jim Marshall rischia di collassare. Non è un esperto di elettronica, ma ha un orecchio per le sonorità del futuro e sa che c’è bisogno di nuovi amplificatori. Townshed su tutti continua a chiedere a Marshall qualcosa per battere la rumorosità dei fan urlanti: andare in tour e non essere in grado di sentire il proprio strumento non è il massimo.
Basta sentire i Beatles all’Hollywood Bowl: anche con l’audio rimasterizzato le grida dei fan sono un brusio costante. È impossibile godersi la registrazione restaurata senza che le orecchie fischino, figuriamoci come si saranno sentiti loro dal vivo. Tra le ragioni del loro addio alle scene si nasconde anche la frustrazione di non riuscire a sentire cosa stessero suonando.
Entri sua maestà il Marshall Super Lead Plexi. Nome astruso a parte, è quello che il chitarrista degli Who cercava: un amplificatore da 100W che, montato sulle casse, avrebbe sfondato i timpani del pubblico. Il concerto diventa una conversazione a senso unico: finalmente si ascolta la musica e non l’amico accanto o l’interessantissima avventura dall’estetista della ragazza dietro. Inizia la guerra del suono, ed alcune band improntano una sorta gara per la medaglia d’oro ai decibel. I Led Zeppelin presto si creano una fama per i concerti distruttivi, per poi essere detronizzati dai Black Sabbath. Il loro motto? Siamo più rumorosi dei Led Zeppelin.
La gara al guiness è da cardiopalma: i Deep Purple a Londra nel 72 sfiorano i 117 decibel e tre fan perdono la conoscenza, gli AC/DC arrivano ai 130. Il titolo di band più rumorosa al mondo se lo portano a casa i Manowar, non per merito di Marshall, ma grazie ad un equipaggiamento personalizzato. Ora i toni si sono pacati, anche perché molte di queste star adesso hanno problemi all’udito. Ci restano le foto dei muri di Marshall dei loro vecchi concerti: il suono della distruzione di Jim Marshall si riesce comunque a sentire.
Written by: Mariahelena Rodriguez
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