Soundtrack da ascoltare durante la lettura:”God Save The Queen” – Sex Pistols
È il 27 maggio del 1977. I Sex Pistols pubblicano God Save The Queen: un titolo innocente che fa pensare ad una cover dell’inno inglese. Le radio cascano nel tranello e trasmettono il brano. Nel giro di pochi giorni l’intera terra della regina viene messa sottosopra. Un gruppo di “improbabili musicisti” ha osato descrivere l’Inghilterra come un regime fascista al grido di “no future” durante il giubileo d’argento della Regina. Quattro giorni dopo la canzone è censurata dalla BBC perché considerato di cattivo gusto.
Video musicale
God save the queen
She’s not a human being
and There’s no future
And England’s dreaming
Il punk dei Sex Pistols non poteva che nascere dalla rottura generazionale: se i giovani non possono avere un futuro, allora aggrediranno e distruggeranno il presente. Anarchia del suono e della logica allo stato puro, che non mira a costruire ma solo a distruggere per lasciare nient’altro che rabbia consumata. Non c’è spazio per le architetture del prog e le divagazioni spaziali dei Pink Floyd. Cassa in quattro, chitarre distorte e via.

Basta con questi presuntuosi professori della musica che pretendono di fare brani belli e complessi, meglio prendere il primo scappato di casa dalla strada, dargli il basso e farlo suonare. Sid Vicious ha la stessa abilità di un trattore rotto ed è persino meno utile: i Sex Pistols lo prendono solo per il suo aspetto, poi, quando si deve suonare, tengono il suo volume a zero e fanno suonare altri. È il primo ragazzo immagine, ancora prima delle modelle di Playboy.
Don’t be told what you want
Don’t be told what you need
There’s no future
No future
No future for you
Guai a pensare che i Sex Pistols siano una band campata in aria. Dietro di loro c’è un grande burattinaio che ha creato ad arte gli scandali giusti: Malcom McLaren. L’idea di far coincidere il brano con il grande festeggiamento della sovrana è sua. La semplice coincidenza sarebbe diventata lo spunto per farsi conoscere, perché secondo lui “non esiste cattiva pubblicità”.
Il gruppo per non farsi mancare nulla suona il 7 giugno davanti al palazzo di Westminster: dall’altro lato della città si sta svolgendo la grande parata in onore della regina. Il gruppo viene arrestato. Alcuni membri del parlamento pretendono lo scioglimento della band e il divieto della vendita del disco: è affascinante come a volte i parlamentari invece di fare il loro lavoro occupino il tempo ad agitarsi per canzoni o spettacoli che non li riguardano.

Le minacce cadono nel vuoto perché, nonostante i tentativi di censura, il brano diventa uno dei più venduti della nazione. Johnny Rotten e tutta la band è minacciata di morte e accusata di odiare l’Inghilterra e gli inglesi. La risposta di Johnny è lapidaria e implacabile:
“Non si scrive una canzone come God Save The Queen perché si odiano gli inglesi. Lo si fa perché si amano e si è stanchi di vederli maltrattati”.
I Sex Pistols avevano scatenato la tempesta perfetta: erano il punto di rottura, i fiori della gioventù buttati nel cassonetto pronti ad incazzarsi. La loro lucidità cinica aveva messo nel panico le fondamenta di una società vecchia e stantia ancorata ad ideali dell’anteguerra. Nel mezzo della crisi i giovani non possono che guardare mentre i genitori distruggono ogni prospettiva di crescita: loro non hanno spazio, c’è altro di più importante da tutelare.
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