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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Wipe Off My Sweat” – Blondie (live in Habana 2019)
Debbie Harry, la frontwoman dei Blondie, oggi compie 76 anni. 50 anni di carriera sono tanti per una band esplosa negli anni Settanta se si considera la quantità di stelle bruciate prima del tempo in quel periodo. Assieme ai Talking Heads Debbie nei primi anni trova casa fra le mura sudicie e imbrattate di scritte del CBGB tra folle inferocite ed esigenti e giornalisti con l’occhio vigile perché consapevoli che il locale è una fabbrica di gemme preziose che stanno dando vita ad un nuovo genere musicale, la new wave.
La sua voce grintosa nascosta da un corpo d’attrice catturò tutti, al punto che dopo averla sentita il batterista dei Talking Heads, Chris Frantz, le chiede di diventare la nuova cantante del gruppo. Debbie lo rifiuta con un sorriso: “Beh, sono già in un’altra band, ma puoi comprarmi da bere.” I loro destini si incroceranno dopo la dipartita di Byrne dal gruppo quando le chiederà di cantare in No Talking Just Head, disco del ’96.
Prima e dopo la collaborazione Debbie Harry avrà modo di fare innumerevoli esperienze. È instancabile e non accenna a fermarsi. Sembra quasi abbia una lista di cose da fare prima degli ottant’anni e che, ogni tanto, la tiri fuori dal cassetto giusto per segnarsi l’ultima impresa. Assieme alla carriera musicale porta avanti quella d’attrice, ma non è un hobby banale da riempire con ruoli facili infarciti di cliché. Con la chioma biondissima che si ritrova sarebbe facile girare decine di film all’anno sempre nel solito ruolo dell’oca bionda, e magari fare un sacco di soldi. Ma mai dire a Debbie Harry cosa fare o non fare, lei è padrona della sua immagine come nessun altro. Aliena, strega, casalinga: il suo amore per il cinema è sincero e non dettato dai cachet.
Debbie Harry, nonostante sia arrivata all’apice della sua carriera diventando un’icona di musica, moda e cinema, non si fa fermare dall’età. La lista di cose da fare è ancora lunga, e ogni tanto, quando si presenta l’occasione, decide di spuntare l’ennesima casella. L’ultimo sogno? Suonare a Cuba al teatro Mella, che con le sue forme squadrate, incastrate come un Tetris, sembra direttamente uscito da un videogioco. Eclettico, camaleontico, fuori posto eppure al centro di tutto: proprio come lei, che è qui per restare
Il viaggio e il concerto a L’Habana sono riassunti in un corto di diciotto minuti, Blondie: Vivir En La Habana. Una gemma di un’esperienza che aveva tutte le premesse per diventare un disastro. È stato una fortuna che Rob Roth, abbia registrato il tutto perché non sarebbe mai più ricapitata un’esperienza del genere. I Blondie avevano scelto l’anno peggiore per suonare nell’isola e, al tempo stesso, il migliore: era il 2019, un momento di tensione nei rapporti tra USA e Cuba, a causa di Trump. E prima del Covid. Come se non bastasse il chitarrista Chris Stein si era ammalato e non riuscì a venire.
A prima vista i Blondie e l’Habana possono sembrare una combinazione azzardata. Nulla di più sbagliato: ciò che li lega è il melting pot tra diverse culture, un fenomeno che accomuna New York e Cuba. E, se prestaste bene l’orecchio, sentireste tutto il feel della musica latina in alcuni dei loro brani.
Written by: Mariahelena Rodriguez
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