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Musica

È tutto il resto: Amy Winehouse e l’eterna moda degli album postumi

today27 Luglio 2021

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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Back to Black” – Amy Winehouse

Il padre di Amy Winehouse alla BBC in occasione della sua scomparsa ha parlato della possibilità di un nuovo album postumo della cantante. I lavori pare siano già iniziati, ma ha subito voluto precisare che non si tratterà di materiale al pari di Back to Black. Sono semplici frammenti, tuttalpiù difficili da riutilizzare perché provengono da CD danneggiati. Però è buon materiale. Non ottimo, non bello. Buono.

Amy Winehouse

Amy Winehouse non è che l’ennesimo nome che si aggiunge alle file di album postumi. La ricetta è sempre la stessa: album registrati a metà e completati da produttori esterni -oppure lasciati intatti- pubblicati ad un anno o più dalla scomparsa. Alcuni artisti valgono più da morti che da vivi. L’esempio lampante è Jeff Buckley che, dopo la sua scomparsa, ha registrato un picco di vendite non indifferente. Nella maggior parte dei casi però queste operazioni non sono che un riempitivo dato a chi ancora non riesce a superare la mancanza dell’artista. Il mercato discografico esaudisce la richiesta e si mette in moto per produrre una nuova uscita, pesca nell’archivio, chiede a collaboratori vicini di completare le demo. Non c’è nulla di malvagio dietro tutto questo: se i fan non comprassero gli album postumi, non verrebbero pubblicati.

Amy WinehouseÈ difficile dire addio ad un artista. Sembra un paradosso, visto che è una persona che non si conosce e che non avrebbe mai avuto modo di sapere dell’esistenza di ogni singolo ascoltatore. Ma è grazie alle loro canzoni che si intrecciano nel nostro quotidiano che in qualche modo si ha l’impressione di conoscerli. Certe canzoni diventano un porto sicuro al quale ritornare ed è lì che quella voce diventa amica. Nel momento in cui scompare, il meccanismo che si innesta è lo stesso, ed è per questo che si sente il bisogno di comprare qualsiasi materiale postumo. Ci si culla nell’illusione che quell’artista sia ancora lì, anche se non sentiremo più i suoi concerti.

Bisogna andare avanti. È una costante della vita. Non ci sarà più nuovo materiale a tenerci compagnia, certo. Però alla fine di tutto restano le canzoni e i ricordi che vi sono legati, pronti a ritornare come un fiume in piena. Non è poco. Chiedere di più significherebbe essere incapaci di recidere il legame tra l’artista sublimato e le sue opere.

Amy Winehouse

Michael, uscito nel 2010, era un disco necessario per i fan ma poco impattante per la sua figura. Sembra quasi passato in sordina se lo si mette a confronto alle vendite astronomiche a cui ci aveva abituato. È un album postumo contrastante perché, nonostante i produttori scelti per completare le canzoni siano persone con cui aveva collaborato, quello che è rimasto è un ritratto ingiallito della sua persona. Gli artisti lasciano le canzoni incomplete per un motivo: non le ritengono abbastanza buone da farle pubblicare. Gli archivi che si creano alla scrittura dei dischi sono immensi: noi sentiamo il risultato finale, che si condensa in 12 o 13 tracce. Salvo alcune eccezioni come Made in Heaven, gli album postumi sono operazioni utili solo a colmare il vuoto dei fan.

Chissà, forse gli artisti dovrebbero scrivere agli atti se vogliano o no che il loro archivio diventi materiale commercializzato. Un giorno si farà, ma per adesso sarebbe meglio lasciar stare i morti.

Leggi anche – È tutto il resto: scommettiamo che i Supertramp non riescono a sfondare in America?

Written by: Mariahelena Rodriguez

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