Come purtroppo è noto a tutti, il cancro è un male molto difficile da sconfiggere definitivamente, ed ancor più complicato da contrastare: uno dei disagi più grandi che i pazienti si trovano a dover affrontare nelle sedute di chemioterapia, infatti, è rappresentato proprio da quei farmaci che vengono immessi negli organi-bersaglio dove risiede il tumore, delle cure molto tossiche che, quando finiscono inevitabilmente nella circolazione sanguigna, vanno a diffondersi e ad arrecare danno anche nel resto del corpo; vomito, nausea, soppressione del sistema immunitario, caduta dei capelli, ulcere, sono solo alcuni dei devastanti effetti collaterali di questo sistema indispensabile per uccidere uno dei mali più terribili che affligge una grande porzione dell’umanità.
Cosa succederebbe, però, se attraverso uno speciale strumento di assorbimento potessimo filtrare dal sangue la parte di farmaco chemioterapico fuoriuscito dall’organo a cui era destinato?
Questa è stata la domanda alla quale un vastissimo team di scienziati e studiosi che hanno cooperato tra la società Carbon Inc. e le prestigiose università americane di Berkeley, di San Francisco e della Carolina del Nord, capeggiati dal professor Nitash Balsara, ha voluto trovare risposta.
A seguito di un’immensa mobilitazione di materia grigia, sperimentazioni sui maiali, calcoli e verifiche, la collaborazione di questo gruppo di persone è pervenuta ad un importante risultato: è effettivamente possibile ridurre in maniera considerevole la quantità di farmaco che penetra nella circolazione sanguigna andando ad impattare nelle aree dell’organismo sane.
Gli esperimenti, in particolare, hanno messo in evidenza che l’inserimento di questo particolare polimero ionico all’interno delle principali vene a ridosso degli organi malati come fosse uno stent – cilindro che serve a tenere aperto un vaso sanguigno solitamente impiantato a seguito di infarti- garantisca l’assorbimento di un 67% circa del farmaco, abbattendo così le pesanti conseguenze patite dall’organismo sotto chemioterapia.
L’aspetto più rivoluzionario della spugna 3D realizzata dal team americano è che, grazie alla sua efficacia, i suoi bassi costi di realizzazione (si può creare a misura di paziente con una semplice stampante 3D) e la sua facilità di impiantazione, sarà probabilmente diffusa nel giro di soli due anni negli ospedali di tutto il mondo per contrastare i danni provocati dal cancro e dalla chemio.
Inoltre, tenendo conto del fatto che gli effetti collaterali di questi farmaci verrebbero neutralizzati in maniera così affidabile, si ipotizza che un domani l’utilizzo di tali spugne consentirà un bombardamento più massiccio e dunque più efficace di sostanze chemioterapiche nell’organo-bersaglio, senza grandi rischi.
Seguiremo appassionatamente i progressi di questa ricerca, nel frattempo tutto lascia sperare in risultati ancora più promettenti nella strenua lotta contro il cancro.
Antonio on 28 Febbraio 2020
Salve volevo sapere se la spugna 3D può essere applicata anche dopo che si è completato il ciclo della chemio.
Grazie.
Veronica Di Sero on 29 Febbraio 2020
Ciao! Purtroppo, non essendo né specializzati in questo ambito né a contatto diretto con il team di ricerca che ha avviato questo pionieristico esperimento, non possiamo azzardare una risposta alla tua domanda, essendo di natura così tecnica. Nonostante questo, provvederemo a ricontattarti qualora dovessero pervenirci ulteriori aggiornamenti al riguardo!