Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Sacrifice” – Lisa Gerrard
L’aria sta cambiando. Fa anche un po’ freddo, sta per arrivare l’inverno. Un piccolo carro con pochi uomini a bordo sta percorrendo velocemente la strada che conduce fuori Roma, verso Formia. Un brusio minaccioso, si ode in lontananza. Cavalli al galoppo raggiungono il carro e lo costringono ad arrestarsi. I cavalieri scendono da cavallo e armati circondano la carrozza. Gli uomini che erano all’interno scendono tutti sguainando a loro volta le loro le spade.
Tutti tranne uno, abbastanza avanti con l’età. Fa cenno ai suoi di deporre le armi. Un cavaliere si avvicina al finestrino, la spada in mano. Il vecchio e il cavaliere si guardano un momento che sembra eterno. Il vecchio abbassa lo sguardo. Si sporge, offrendo spontaneamente il collo al suo carnefice. Un taglio netto, la testa rotola a terra, insieme al resto del corpo. Al cadavere vengono amputate anche le mani e messe in un sacco. Quelle mani sono un simbolo. Insieme alla testa definivano l’operato di un grande uomo, quello che ora giace mutilato sulla strada lastricata e fredda.
E’ il 7 dicembre del 43 a.C.
Quell’uomo è Cicerone.
Marco Tullio Cicerone è una delle figure più amate e odiate della storia e della letteratura latina. Uomo colto e brillante, oltre ad essere un celebre avvocato, è un abile oratore, un filosofo, o, meglio un mediatore della filosofia e della cultura greca a Roma. A lui dobbiamo la stesura di un primo dizionario filosofico, che ha prima di tutto il merito di aver trovato parole latine per tradurre termini filosofici che dal greco sarebbero rimasti di oscura comprensione. Terminologia latina di cui, per centinaia e centinaia di anni, la filosofia ha fatto uso.
Ma soprattutto è un politico di un acume eccezionale. E’ stato per molti un faro nel buio panorama politico degli ultimi anni della repubblica romana. Per altri, i suoi nemici, tanti, una spina nel fianco, data la sua “autorità”, il suo peso politico.
La Repubblica, allora, è dilaniata dalle guerre civili, epoca inaugurata da Gaio Mario e Silla, che vede scontrarsi personaggi come Catilina, Cesare, Pompeo Magno, Bruto e Cassio, Ottaviano e Marco Antonio. Uomini Grandi, giganti della storia. Cicerone li ha conosciuti tutti. Fronteggiandoli o appoggiandoli, partecipa attivamente, divenendo uno dei perni principali di questa brulicante e conflittuale epoca.
Un percorso difficile, per lui che è un Homo Novus, ossia non nobile, e che, quindi, ha dovuto farsi un nome da zero, per meriti. L’esercizio dell’avvocatura gli dà senz’altro una via. Ed è da un caso delicato che il nome di Cicerone inizia a circolare.
Pro Roscio Amerino
Il giovane Cicerone si trova a difendere un uomo, Sesto Roscio, appartenente al ceto nobiliare, accusato di aver ucciso il padre. Nella Roma dell’epoca questo è uno dei più gravi delitti che si potevano perpetrare, e la pena, senza appello, è la morte. Cicerone nella sua indagine viene a scoprire che dietro al delitto si nascondono trame politiche e intrighi che coinvolgono potenti personaggi, protetti dall’uomo più potente di tutti, il più temuto. Lucio Cornelio Silla, autore di una guerra civile, ex dittatore, promotore della politica del terrore manifestata nelle famose liste di proscrizione, una pratica che permetteva a chiunque di poter uccidere chi avesse il nome nell’elenco. Il modo di Silla di eliminare i suoi avversari politici.
Cicerone è giovane, alla prima causa di diritto penale. Ha di fronte uno dei più celebri avvocati dell’epoca e lo spettro delle ripercussioni di Silla alle spalle. Capisce il motivo per cui la difesa fosse stata affidata proprio a lui. Non si voleva troppo rumore. Lo fa intendere egli stesso all’inizio dell’orazione. Era stato scelto non perché era bravo, ma perché nessun altro voleva farlo, lasciando intendere velatamente al giudice e a tutto il pubblico del foro, che dietro al caso c’era qualcosa di più grande. Cicerone riesce a provare l’innocenza del suo assistito, dimostrando che i veri mandanti erano i parenti del padre, aiutati da Crisogno, liberto di Silla e famoso criminale, che volevano acquisire i suoi beni eliminando il legittimo erede. La vittoria dà a Cicerone molta celebrità. Ma anche molta paura delle ripercussioni, perciò pensa bene di sparire da Roma per un po’ di tempo. Al suo ritorno, comincia il cursus honorum, la sua carriera in politica.
Le Catilinarie
Nella sua carriera da avvocato forse il più grande successo è la causa contro Verre, governatore della Sicilia, che i siciliani accusavano di sfruttamento e corruzione. Ma le più grandi orazioni della sua carriera politica sono le quattro Catilinarie, contro Catilina. Questi è un personaggio molto controverso, ma appoggiato da tanti, in un primo tempo, pare anche da un giovane Cesare. Il suo obiettivo è arrivare al consolato e instaurare una dittatura simile a quella di Silla. Ci prova in due occasioni. La prima fallisce e viene eletto proprio Cicerone al consolato.
Il secondo tentativo avviene l’anno successivo. Cicerone intuendo il pericolo per la Repubblica, con un abile mossa politica, riesce a rimandare le elezioni all’ultimo momento, in modo che i sostenitori italici di Catilina non potessero raggiungere Roma per le elezioni. Infatti, Catilina viene nuovamente sconfitto. Ordisce una congiura per prendere il potere con le armi. Cicerone la scopre, grazie a delle lettere anonime, che esibisce al senato, in presenza dello stesso Catilina.
Comincia l’attacco.
La frase di apertura è diventata celebre: fino a quando abuserai della nostra pazienza, Catilina? L’intera orazione è volta a screditare l’avversario, reo di una pessima condotta morale, portatore dei peggiori vizi attribuibili a un uomo, nonché follia e malvagità. Cicerone sa che all’interno del senato ci sono molti sostenitori di Catilina. Sarebbe stato un guaio se si fossero opposti. La strategia di Cicerone allora è quella di non farli esprimere, o meglio, di farli restare in silenzio e dimostrare che quel silenzio era assenso a sostegno di Cicerone. Catilina fugge, ma si riorganizza, prova a muovere guerra contro la stessa Roma, ma le sue forze vengono sconfitte.
Cosa fare dei congiurati sconfitti? Alcuni, come Cesare, vogliono una pena morbida. I più la pena di morte. Cicerone riesce a dimostrare che la pena di morte è una scelta necessaria, e questa avviene. Ma Cicerone commette un errore. La condanna a morte di un cittadino romano deve avvenire tramite l’appello del popolo. Cosa che non è avvenuta. Una mossa che gli sarà fatale, in seguito.
Ma, intanto, per aver sventato la congiura viene acclamato Pater Patriae, padre della patria, con tutti gli onori. E’ al punto più alto della sua carriera. E proprio allora, arriva la caduta. Clodio, suo nemico, riesce a far passare una legge retroattiva per cui tutti coloro che avessero mandato a morte un cittadino romano senza appello del popolo dovevano essere esiliati. Cicerone vede le sue ville distrutte, esiliato non solo da Roma, ma dall’Italia. Riesce a ritornare solo dopo varie intercessioni di amici influenti, soprattutto Pompeo.
Le Filippiche
Pompeo e Cesare dominano la scena per anni, in positivo e in negativo. Il legame di Cicerone con entrambi è ambiguo. Si fa strada nella sua mente che l’unico modo per uscire dal disastro delle guerre civili è che la Repubblica avesse bisogno di un princeps, un uomo di autorità al vertice, sul modello che fu Pericle per Atene. Un’intuizione acuta e profetica.
Certamente la sua ambizione lo spinge a pensare che possa essere lui stesso quest’uomo. Non aveva considerato un fatto fondamentale: non aveva un esercito alle spalle. In tutta la sua carriera non era riuscito a capire, o forse lo voleva negare, che sono le legioni a fare la differenza. Cesare e Pompeo sono generali amati e vittoriosi. Uno il conquistatore delle Gallie, l’altro dell’Asia. Il loro accordo e disaccordo, prima col triumvirato poi con la nuova guerra civile, decidono le sorti di Roma. E anche Cicerone è costretto a decidere fra i due. Entrambi lo corteggiano. Cicerone sceglie di pancia Pompeo, sbagliando. Cesare vince, e Cicerone è costretto a chiedergli perdono. Che gli è accordato.
Ma la tranquillità dura poco
Cesare viene ucciso, scatenando l’ennesima guerra civile tra i congiurati che si definivano liberatori del tiranno, capeggiati da Bruto e Cassio, e chi si definiva l’erede di Cesare, Marco Antonio. Cicerone si impone come mediatore. Sua la proposta è di amnistia per i cesaricidi, in cambio tutte le leggi emanate da Cesare sarebbero rimaste in vigore. Ma Antonio non vuole sentire ragioni. Accanito è il loro scontro. Intanto una nuova figura compare all’orizzonte: Ottaviano, nipote di Giulio Cesare e suo erede. Cicerone pensa di aver trovato il princeps che immaginava. Pensava forse di riuscire a plasmarlo, ma si sbagliava.
Quando lo scontro tra Ottaviano e Marco Antonio si fa più acceso, Cicerone pubblica le Filippiche, chiamate così tra il serio e il faceto, riferendosi alle orazioni che l’oratore Demostene pronunciò contro Filippo di Macedonia, allorché minacciò Atene. Un modello, Demostene, ben eguagliato. Lo stile è alto, maturo, la parola diretta. L’invettiva contro Antonio è molto forte, denigratoria davanti a tutta l’opinione pubblica, una campagna perpetrata accanitamente per quattordici orazioni. Antonio non può accettarlo, non lo potrà mai perdonare. Cicerone vede crollare i suoi sogni quando gli arriva la notizia peggiore del mondo. Ottaviano e Antonio hanno stretto alleanza, un secondo triunvirato, altre liste di proscrizione. Il suo nome è in cima alla lista. Fugge da Roma, ma viene raggiunto dai sicari. Le sue mani e la sua testa esposte nel foro, come monito.
“…. di tutte le sventure che gli sono toccate, nulla seppe sopportare come si conviene ad un uomo, tranne la morte”
Handsome Devil è un film di Netflix del 2016 di John Butler. Parla di Ned e Conor, due compagni di stanza con un segreto in comune che li rende differenti. L'intera storia gira attorno ad una frase del prof di letteratura: siate sempre voi stessi.
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