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Scienza e Tecnologia

Chi sta al posto di comando?

today12 Marzo 2018

Background
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Il cosmo è risultato essere molto più esteso di quanto avessimo immaginato guardando il cielo stellato. Allo stesso modo, l’universo dentro le nostre teste si estende molto al di là della nostra esperienza cosciente. Oggi stiamo ottenendo i primi scorci dell’enormità di questo spazio interno. Forse vi sembra di fare un piccolo sforzo per riconoscere il volto di un amico, guidare l’auto, capire una battuta o decidere che cosa prendere dal frigorifero, invece tutte queste cose sono possibili solo grazie all’enorme quantità di calcoli che avvengono all’insaputa della vostra consapevolezza cosciente. In questo momento, proprio come in ogni altro momento della nostra vita, nella rete dentro il nostro cervello sta fervendo l’attività: miliardi di segnali elettrici corrono lungo le cellule, facendo scattare impulsi chimici nei miliardi di milioni di connessioni tra i neuroni. La più semplice delle azioni è sostenuta dalla massiccia forza lavorativa dei neuroni. Voi siete beatamente ignari di tutta la loro attività, ma la vostra vita è modellata e colorata da quello che succede “sotto il cofano”: le vostre azioni, ciò che più conta per voi, le vostre reazioni, gli amori e i desideri, ciò che ritenete vero o falso. La vostra esperienza è il risultato finale del lavoro nascosto di questa rete. Allora chi sta effettivamente pilotando la nave?

Immaginate che voi ed io siamo seduti al tavolino di un bar. Mentre stiamo chiacchierando, voi notate che io ho sollevato la mia tazzina per bere un sorso di caffè. Si tratta di un’azione così banale che normalmente non viene rimarcata, a meno che io non mi rovesci del caffè sulla camicia. Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare: portare la tazzina alla bocca non è una manovra così facile. Nel campo della robotica ci si sta tutt’ora sforzando per far funzionare senza intoppi questa manovra. Perché? Perché questa semplice azione è sostenuta da milioni di miliardi di impulsi coordinati meticolosamente dal mio cervello.
Per prima cosa il mio sistema visivo esamina la scena per indovinare la tazzina che mi sta di fronte e i miei anni di esperienza fanno scattare i ricordi dei caffè bevuti in altre occasioni.
La mia corteccia frontale sguinzaglia dei segnali verso la corteccia motoria, che coordina con precisione le contrazioni muscolari (tramite il mio torso, braccio, avanbraccio e mano) cosicché io possa afferrare la tazzina. Non appena la tocco, i miei nervi riferiscono una marea di informazioni sul peso della tazzina, la sua posizione nello spazio, la sua temperatura, la scivolosità del manico e così via. Mentre quelle informazioni corrono su per il midollo spinale fino al cervello, delle informazioni di riequilibrio ne ridiscendono, scorrendo come il traffico veloce di una strada a doppio senso. Tale informazione emerge da una complessa coreografia tra le parti del mio cervello che hanno nomi quali gangli basali, cervelletto, corteccia somatosensoriale, e tanti altri. In frazioni di secondo vengono apportati degli aggiustamenti riguardanti l’energia necessaria a sollevare la tazzina e la forza della mia stretta. In seguito a calcoli e riscontri complicati, i miei muscoli riescono a calibrare l’altezza della tazzina mentre la muovo tranquillamente verso l’alto. Durante l’azione, compio dei minimi aggiustamenti e quando essa raggiunge le labbra, ne piego l’angolazione per bere un po’ di liquido senza scottarmi.
Per eguagliare il potere computazionale necessario a compiere quest’impresa servirebbero dozzine dei più veloci computer a mondo, eppure io non ho il minimo sentore della tempesta di lampi che si è scatenata nel mio cervello.
Anche se la mia rete neurale è impegnata in una frenetica attività, la mia consapevolezza cosciente prova qualcosa di molto diverso, qualcosa di molto simile al totale oblio. La mia consapevolezza è impegnata nella nostra conversazione, al punto che posso addirittura controllare la mia espirazione mentre sollevo la tazzina, continuando a fare la mia parte in una impegnativa conversazione.
Tutto quello di cui mi accorgerò, è se porterò il caffè alla bocca oppure no. Se l’azione è perfettamente eseguita, non mi renderò nemmeno conto di averlo fatto.
Il meccanismo inconscio del cervello è al lavoro in ogni momento, ma funziona così bene che di solito siamo inconsapevoli delle sue operazioni. Il risultato è che ce ne accorgiamo più facilmente solo quando smette di funzionare.
Come andrebbero le cose se dovessimo concentrarci consapevolmente su semplici azioni, che di solito diamo per scontate, come per esempio un’azione apparentemente facile come camminare? Per scoprirlo vi racconterò la storia di un uomo di nome Ian.
Quando aveva 19 anni, Ian fu colpito da un raro tipo di danno ai nervi, dovuto a un attacco particolarmente violento di gastroenterite. La conseguenza fu che perse i nervi sensori che trasmettono al cervello le informazioni sul tatto e anche sulla posizione degli arti (capacità nota come propriocezione o cinestesia). Di conseguenza Ian non era più in grado di controllare automaticamente i movimenti del suo corpo. I dottori gli dissero che, nonostante i suoi muscoli fossero sani, avrebbe dovuto usare una sedia a rotelle per il resto dei suoi giorni; una persona non può andarsene in giro senza la percezione del proprio corpo nello spazio. Anche se raramente ci fermiamo a considerarlo, è il feedback che riceviamo dal mondo circostante e dai nostri muscoli che permette i complessi movimenti che eseguiamo in ogni momento della giornata.
Ian non voleva che la sua condizione lo confinasse a una vita senza movimento, così lui si alza e cammina, ma in ogni istante della sua vita da sveglio è costretto a pensare consapevolmente a ogni movimento fatto dal suo corpo. Essendo privo della percezione della posizione dei propri arti, Ian deve muoversi co concentrata focalizzazione e conscia determinazione, servendosi del sistema visivo per controllare la posizione dei suoi arti: mentre cammina Ian piega in avanti la testa per osservare meglio che può i suoi arti.
Per mantenere l’equilibrio, si accerta di avere le braccia tese dietro di sé. Poiché non può percepire il momento in cui i suoi piedi toccano il suolo, deve anticipare l’esatta distanza di ogni passo e portare a terra il piede con la gamba messa in posizione d’impatto. Ogni passo da lui compiuto è calcolato e coordinato dalla sua mente conscia.
Persa l’abilità di camminare automaticamente, Ian è perfettamente conscio della stupefacente coordinazione richiesta per andare a fare una passeggiata, azione che noi diamo per scontata. Tutti quelli che gli stanno intorno, rimarca Ian, si muovono coì naturalmente e senza interruzioni, senza avere presente lo straordinario apparato che compie quel processo al posto loro.
Se si distrae anche solo per un attimo, o se un pensiero gli sorge all’improvviso nella mente, Ian probabilmente cadrà a terra. Egli deve accantonare ogni distrazione e concentrarsi sui più piccoli dettagli: l’avvallamento del terreno o il movimento della gamba.
Se passaste un po’ di tempo insieme a Ian, anche solo qualche minuto, focalizzereste immediatamente l’immensa complessità delle azioni che compaiono ogni giorno senza nemmeno pensarci: alzarci, attraversare una stanza, aprire la porta, stringere la mano a qualcuno. Contrariamente alle apparenze, si tratta di azioni per niente semplici. La prossima volta che che vedete una persona camminare, fare jogging, usare lo skateboard o andare in bicicletta, fermatevi un attimo a considerare con ammirazione non solo la bellezza del corpo umano, ma anche il potere del cervello inconscio che lo gestisce impeccabilmente. I complessi dettagli dei nostri movimenti, anche quelli più semplici, sono consentiti da milioni di miliardi di calcoli, che ronzano continuamente entro una dimensione spaziale così piccola da essere per noi invisibile, e di una tale complessità che va al di là della comprensione. Non siamo ancora riusciti a costruire dei robot che possano almeno scalfire la superficie delle prestazioni umane. Tra l’altro, un supercomputer accumula costosissimi consumi elettrici, mentre il nostro cervello lavora con incredibile efficienza usando l’energia di una lampadina di 60 watt.

Di Andrea Valitutti

Written by: Redazione

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