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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Titina” – Charlie Chaplin
Il cinema è nato muto. Inizialmente le immagini non potevano neanche essere condite con musiche, aggiunte solo successivamente. È impensabile, oggi, non sentire dei dialoghi e dei sottofondi musicali nei film. Eppure certi personaggi sono riusciti comunque a lasciare il segno anche in quel modo di fare film. Buster Keaton, Georges Méliès, ma anche divi, come Rodolfo Valentino.
Tra tutti questi rivoluzionari spiccano una bombetta e dei baffetti. Piedi rivolti verso l’esterno, spesso un bastone da passeggio, una giacca troppo piccola male abbinata a pantaloni troppo larghi. Ecco, già è affiorato nella mente: questo è Charlie Chaplin. Nato come Charles il 16 aprile 1889 a Londra, lui nell’arte teatrale c’è nato, per il mestiere di attori del padre e della madre. Ma certamente fondamentale è stato il suo percorso formativo, che l’ha portato a incontrare personalità come Fred Karno -da cui imparò molte cose- e Stan Laurel -per tutti, Stanlio.
Dicevamo che non esistevano parole, toni di voce, grida o sussurri nel primo cinema. Charlie aveva un grandissimo pregio, ossia l’espressività: il suo volto era in grado di riprodurre qualunque stato d’animo, che fosse triste o felice, arrabbiato o ridente. Non gli servivano parole. È forse anche per questo che approdò al cinema, divenendone un mito indiscusso. Bastarono pochi cortometraggi per creare il personaggio del vagabondo, Charlot, che dà il nome a diversi film.
Gli spettatori del tempo avevano un vero bisogno di svago, quando si sedevano davanti a quell’enorme schermo bianco e Chaplin lo sapeva bene. Aveva imparato a conoscerli, a capire di cosa avessero bisogno senza che lo esprimessero. Charlot voleva far divertire, ma è innegabile un secondo fine, ossia il conforto, la compassione. Nessuno come Charlie Chaplin è riuscito a esprimere l’alienazione in atto in quegli anni in cui esisteva solo la macchina lavorativa, operativa, di cui tutti dovevano far parte.
È evidente in Tempi Moderni, forse uno tra i film più esplicativi del periodo e capolavoro di Charlie Chaplin. Un uomo che diventa il suo lavoro, che è andare in fabbrica: diventa, praticamente, un automa, esegue i movimenti di stretta di bulloni anche quando è lontano dalle macchine e si aliena dalla socialità.
Ma nelle sue storie non mancava mai la tenerezza, che fosse per lui stesso o per gli altri. Il Monello è il suo primo lungometraggio, e Charlot si ritrova da un minuto all’altro un neonato tra le mani. E decide di crescerlo come fosse figlio suo, nonostante viva in un sottotetto pieno di buchi sul soffitto e abbia a disposizione solo qualche oggetto di arredamento. Una sedia senza seduta diventa un ottimo seggiolone, alla fine. Senza spoiler, il bambino crescerà con lui.
Ma il massimo arrivò con Il grande dittatore. Era il 1940, e il mondo soffriva sotto i bombardamenti di una guerra spietata e, a tratti, senza proprio senso. E Chaplin decise di metterne ancora più in evidenza la banalità, parodizzando il mostro che era ed è il nazismo. Sarà impresso per sempre nella storia del cinema il monologo finale, che se non conoscete va visto assolutamente.
Charlie Chaplin era non solo un perfetto interprete della sua società, ma della storia di tutti noi.
Written by: Sara Claro
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