Nel ’73 la domanda la poneva Bowie nella celebre canzone life on Mars, titolo ripreso da una trasmissione televisiva inglese che andava in onda negli anni ’60. Il testo è un vero e proprio viaggio onirico, tanto che sono nate varie teorie che tentano di fornire la giusta esegesi alla folta schiera di personaggi, immagini e luoghi, metafore apparentemente senza connessione tra loro.
Forse una ragazza che, guardando la società in cui vive, desidera andare su Marte e si chiede dell’esistenza di forme di vita migliori di quelle presenti sulla Terra.
Poi si pensa alla denuncia sociale con l’immagine dell’avvocato che se la prende con la persona sbagliata (“beating up the wrong guy”).
C’é chi parla di denuncia all’imperialismo americano nelle sembianze Topolino-mucca (“Mickey Mouse has grown up a cow”), o quella dell’uso strumentale della politica, con operai intenti a scioperare “per la fama”, un John Lennon riferimento a Lenin (“on sale again”) e in questo caso la domanda ” C’è vita su Marte?” sarebbe una metafora per chiederci se vale la pena vivere sotto l’oppressione di un regime, di qualunque colore esso sia.
Che queste interpretazioni siano corrette? A prescindere dal significato nascosto il genio di Bowie si riconosce nella creazione di un mondo surreale in cui veniamo trasportati durante l’intera durata della canzone. Proprio la verisimiglianza rende l’idea di un’atmosfera rarefatta, ai limiti tra immaginazione e realtà, in cui il filo logico da seguire prende forma nella mente dell’ascoltatore. Bowie non dà indicazioni, e in questo caso gli inglesi direbbero “it’s up to you”, dipende da te, da dove ti lascerai trasportare, e magari la risposta alla domanda la troverai tu.
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