Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Una come te” – Cesare Cremonini
Le chiamano friulane, furlane in dialetto, papusse in veneziano, ma in Friuli-Venezia Giulia, dove sono nate, sono le scarpets. Erano delle pantofole umili, cucite con lo spago e gli scarti di stoffe e lenzuola pesanti, come il velluto. La suola è la parte più particolare e interessante della scarpa: è fatta con i vecchi copertoni delle biciclette. Le portavano le donne per stare in casa. Non c’entrano niente con tendenze, stagioni o collezioni. Hanno una storia antichissima, affascinante e senza tempo perfettamente in linea con la filosofia del riciclo-riuso, un plus irrinunciabile per tutte.
Perchè parlarne? Perchè la storia delle friulane assomiglia molto a quella della fiaba del Brutto anatroccolo, piccolo e “bruttarello”, ma che col tempo diventerà un magnifico cigno. Nell’ultimo anno infatti, complici influencer e star, le pantofoline sono uscite di casa e hanno fatto girare la testa a tutti, spazzando via le ballerine.
Le friulane sono riuscite a sfatare il mito secondo cui per essere eleganti e femminili bisogna stare su almeno sette cm di tacco.
Kate Moss, la regina delle flat shoes, è la prima della lista. Quando ancora si poteva, andava a spasso con un paio di friulane rosso fiamma.
Ne esistono di tantissimi colori, di tantissime sfumature, una più bella dell’altra. Alcuni designer le hanno realizzate anche in seta, in lino, con frange e strass, ma quelle che vincono sempre e a mani basse, anche in relazione al prezzo, sono quelle originali: velluto fuori, cotone dentro e copertone fuori, ma soprattutto: “fatte in Italia”.
Ora che siamo più spesso in casa, le friulane sono tornate ad essere delle ciabatte estremamente versatili, vanno a ruba. Perfette dentro e fuori, non hanno bisogno di essere abbinate al look, basta sceglierle di un bel colore che ci piace.
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