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Ben tornati su Calza a pennello! Già vi mancavo?
Oggi parliamo di una persona che secondo me non è famosa quanto merita.
Ma come? Sulla rubrica che celebra il territorio italiano?
Sì. L’articolo su Locusta de Il Ventriloco mi ha fatto capire che celebrare un posto vuol dire anche celebrare i personaggi che lo abitano e che lo hanno abitato, e quindi per la proprietà transitiva – sì, l’ho appena deciso- va bene anche il contrario.
Pronti per conoscere la storia di Giulia Tofana?
Se cercate il suo nome, Google vi dirà innanzitutto che era una Donna d’affari, per poi smentendosi subito dopo dicendo che era una serial killer. Ed in realtà la cara Giulia era entrambe le cose.
Nasce a Palermo, in un anno non precisato prima del 1633, data in cui la madre/zia Tofana d’Adamo viene processata per aver avvelenato il marito. Sola, analfabeta e senza un soldo la ragazzina mette all’opera la sua unica arma, quella più potente: l’intelligenza.
Iniziò così a fabbricare una delle armi di distruzione di massa più perfette mai inventate: l’acqua tofana. Non si sa se migliorò solo la formula di Tofana d’Adamo o la creò lei dal nulla; non si sanno nemmeno le dosi e gli ingredienti corretti per crearla – un vero peccato-.
Giulia Tofana viene definita una serial killer sui generis, perché vendeva il suo veleno alle dame per sbarazzarsi dei mariti violenti e abusivi.
Del resto con un veleno incolore, inodore e insapore – perché erano queste le caratteristiche dell’acqua tofana– dotato anche di libretto delle istruzioni, uccidere era facile. Eppure l’Inquisizione stette per ben due volte con il fiato sul collo dell’imprenditrice.
La prima avvenne quando una cliente sbagliò le dosi e il marito sopravvisse, denunciando sia la moglie che Giulia e lei fu costretta a fuggire a Roma insieme alla figlia e alla sorella, Girolama Spera.
Nella città storica, Giulia visse mantenuta dall’amante, frate Girolamo, e approfittò del tempo per studiare e farsi una cultura, comportandosi come dama di corte. La vecchia vita di Palermo sembrava dimenticata, ma dal tuo passato non puoi fuggire, Giulia.
È infatti con l’arrivo di una vecchia amica e con il suo racconto delle violenze del marito che Giulia torna a fabbricare la Manna di San Nicola, chiamata così perchè contenuta in boccette con l’immagine del santo – nessuno penserebbe che una boccetta con Babbo Natale contenga del veleno-.
Con la riapertura del commercio, arriva anche la seconda visita dell’Inquisizione:
A causa della contessa di Ceri, troppo impaziente per rispettare le dosi di veleno da somministrare, anche questa storia trova una fine.
Vedete, l’acqua tofana era incredibilmente nociva per cui, affinché la morte sembrasse naturale andava somministrata a piccolissime dosi; ma la contessa non aveva questa pazienza e versò l’intera boccetta nella zuppa del marito facendolo morire istantaneamente. – che genio–
Ciò ovviamente creò dei sospetti nella famiglia del defunto e così Giulia Tofana venne arrestata e tortura dall’Inquisizione il 5 luglio del 1659. Sappiamo per certo che sotto tortura Giulia confessò di aver venduto, solo a Roma, un numero tale di boccette da poter uccidere 600 persone. Le altrettante donne vennero quindi murate vive all’interno del Palazzo dell’Inquisizione.
Ma la sorte di Giulia Tofana è diversa:
C’è chi sostiene che venne giustiziata a Campo de’ Fiori insieme alla sorella e alla figlia; altri invece sostengono che sia riuscita a scagionarsi, dicendo che il prodotto che vendeva era per la pelle e che non era affar suo cosa ne facevano le sue clienti, per poi scomparire senza lasciare traccia.
Ma il suo veleno non scomparve insieme a lei, gli studiosi affermano che è stato proprio acqua tofana il veleno utilizzato per uccidere Mozart.
Magari c’è chi ancora oggi ne ha qualche boccetta…
–si, oggi mi andava l’horror. E no. Vedermi un film non sarebbe bastato-.
Written by: Aurora Vendittelli
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