Il 27 del 1967 moriva all’età di 33 anni il quinto Beatle, Brian Epstein.
Il manager rese il quartetto inglese l’idolo di una generazione e ne intuì il successo sin dal primo incontro, che avvenne nel 1961.
Il giovane Brian, proprietario di un negozio di dischi, si era recato dai quattro per procurarsi direttamente l’introvabile 45 giri per cui al negozio riceveva così tante richieste. Andò insieme al suo assistente Alistair Taylor al Cavern Club, dove rimase estasiato dalla performance delle future star che si chiamavano ancora Beat Brothers.
Nell’autobiografia, “Una cantina piena di rumore”, racconta:
“Mi feci avanti verso il palco, oltrepassai i giovani volti assorti e i corpi danzanti e per la prima volta vidi i Beatles da vicino. Non erano molto ordinati e nemmeno molto puliti. Fumavano mentre suonavano, mangiavano, parlavano e facevano finta di capirsi l’uno con l’altro. Voltavano le spalle al pubblico, urlavano tra di loro e ridevano per battute che nessuno riusciva a comprendere. C’era del fascino indefinibile. Erano estremamente divertenti e magnetici grazie a quel modo rude, a quello stile prendere o lasciare. Bisognava solo mettere mano ai capelli… Mai nella vita avrei pensato di gestire un artista o di rappresentarne uno, ma qualcosa accese una scintilla tra di noi, perché organizzai un incontro al negozio”.
La data fu fissata il 3 Dicembre 1961 e il 24 Gennaio 1962 Brian ottenne il contratto di management dei Beatles per la durata di sei anni. Da quel momento l’immagine dei quattro cambiò radicalmente: l’abbigliamento in giacca e cravatta sostituì i giacconi di pelle.
In seguito alle prime audizioni fallimentari con etichette quali Decca Records, Columbia Records, Philips Records, arrivò per i Beatles l’aggancio giusto, la Parlophone, una piccola casa di produzione legata alla EMI.
Epstein però non rivelò le stesse grandiose capacità nella gestione delle tournée, dalle troppe date e con scarsi guadagni.
Fu tuttavia un uomo che seppe intuire il talento di una band straordinaria e fare del loro sogno una realtà. Un sogno che era anche il suo, date le sue grandi ambizioni, forse causa della depressione che lo portò alla morte prematura.
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