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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Pensa” – Fabrizio Moro
19 luglio 1992. Via d’Amelio.
Un giorno, un luogo preciso in testa alla pagina, come se fosse una sceneggiatura cinematografica. E queste indicazioni, in effetti, raccontano una storia. Non solo quella scandita da fatti e da eventi. Una storia dal finale aperto.
Nel giorno della commemorazione della strage, vogliamo riflettere per un attimo su cosa questa storia ci ha lasciato. E se la storia, come la più grande Storia, risponde ad una legge di causa-effetto si può anche provare a trovare una causa maggiore, primigenia, che è stata il motore di tutto. Quella ragione che lega tutti i personaggi coinvolti.
“Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! “
In questo discorso, l’ultimo, Paolo Borsellino parlava, sì, di Falcone, ma queste domande le rivolgeva prima che a se stesso, ai suoi collaboratori, agli uomini delle loro scorte, ai mariti, alle mogli, ai figli. Perché era consapevole che tutti erano coinvolti ed era consapevole anche che la risposta doveva essere più forte del quesito posto, altrimenti il peso della situazione sarebbe stata insostenibile.
Consapevolezza, anche, che dopo Capaci loro sarebbero stati i prossimi. Come Falcone, anche Borsellino tutti gli altri sapevano.
E sono andati avanti.
Quale amore ti può spingere a sopportare il peso, a vivere fino all’ultimo di quei 57 giorni? L’amore per la città, per la legalità? Sono parole. Quello che Falcone e Borsellino ci hanno insegnato, di cui tutto si è scritto e detto, è che esiste qualcosa il cui valore è al di sopra dell’individuo, al di sopra delle loro stesse vite.
L’Umanità
Ideale ampio. Ma è questo il genere d’amore di cui Borsellino parlava. Quello che ti fa andare oltre la ristretta cerchia degli affetti più cari e ti spinge ad amare anche chi non conosci direttamente, in quanto cittadino, in quanto uomo. E se li ami vuoi il loro bene, se vuoi il bene vuoi Giustizia.
Nella Giustizia tutti loro hanno trovato la massima espressione di questo amore, di questa Umanità. E Borsellino, che vi ha dedicato l’intera vita, andava nelle scuole a insegnare ai ragazzi non solo che cos’era la Mafia, ma a far capire che, senza questo senso di appartenenza, senza questo amore risoluto, l’Uomo in quanto tale è perduto e lascia il posto a quel genere di essere umano che non è più Uomo.
“Se la gioventù le negherà il consenso, – diceva- anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.
Far capire questo ai giovani, quelli che Uomini dovevano diventare, era l’unica soluzione, l’unico rimedio per estirpare questo male dalla sua radice. Ed è più potente di un magistrato, di un poliziotto, della legge stessa.
Un amore che ti rende forte. Che ti rende in grado di sopportare tutto. Il dolore, la paura, la morte.
Written by: Andrea Famà
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