Sembra quasi il titolo di un cartone animato, eppure è esattamente quanto appena accaduto in un supermercato di Edimburgo: il povero cyberdipendente a cui è toccato questo infausto destino prende il nome di Fabio, e la sua vicenda ha del comico, del tenero, ma anche un aspetto sul quale riflettere.
È durata solo una settimana l’avventura del robot Fabio tra gli scaffali del supermercato, dove questo impiegato speciale, assunto sia per le sue qualità che per il suo aspetto, aveva il compito di assistere i clienti, dar loro indicazioni, mostrarsi affabile e persino giocherellone con loro, in modo da creare un clima piacevole alleggerendo sensibilmente il carico di lavoro dei colleghi umani.
Il problema è che il buon Fabio non si è dimostrato all’altezza di queste mansioni: non solo tendeva a confondere i clienti a cui fornire assistenza, ma era anche alquanto vago con le informazioni, andando così a ledere quel bel clima allegro che egli stesso avrebbe dovuto creare. Vano è stato il tentativo di affidargli un altro compito, quello di distribuire campioni di cibo gratuiti e così, dopo appena sette giorni di servizio, il robot è stato messo alla porta.
La disavventura di Fabio, creazione firmata SoftBank inserita nel supermercato edimburghese per intercessione della Heriot-Watt University, costituisce una storia sì buffa, ma anche in una certa misura triste: è veramente tutta di Fabio la colpa dell’insuccesso registrato, oppure è almeno in parte l’inevitabile risultato di un processo in atto proprio in questi mesi, quello di un’introduzione alle volte non necessaria, forzata, immatura, della tecnologia fino ai più sottili capillari della società?
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