Come è noto, il Festival del film e Forum internazionale sui diritti umani di Ginevra è uno dei maggiori eventi a livello mondiale dedicati ad uno dei beni più preziosi di ogni individuo: la sua dignità.
La vittoria dell’edizione di quest’anno per la categoria miglior documentario se l’è aggiudicata la Delphine et Carole: Insoumuses, di Callisto McNulty. La regista, nipote di Carole Roussopoulus, una delle coprotagoniste del film, ha voluto documentare l’attività della zia e di Delphine Seyrig, due delle prime attiviste in Francia promotrici del movimento femminista. La pellicola lascia emergere tutto il desiderio di sottrarre dalla vorace visione patriarcale la donna ripresa dalla telecamera, considerata alla stregua di un cerbiatto puntato dal fucile dell’uomo-cacciatore, per restituirle una vera immagine, quella che, in quanto essere umano, merita di ricevere indipendentemente dal suo genere. Così ha affermato la McNulty:
Penso che le loro lotte passate diano luce alle nostre lotte presenti. Si riflettono su quel che accade oggi. Volevo anche mostrare che si può imparare molto da quelle lotte.
Callisto McNulty
Per quanto riguarda la sezione fiction, ad aggiudicarsi l’acclamazione del pubblico e della critica è stato Il ragazzo che catturò il vento, del regista Chiwetel Ejofor, che non potendo presenziare alla cerimonia di premiazione ha delegato “l’ingrato” compito all’attrice Aïssa Maïga, interprete della madre del protagonista nella pellicola. Come raccontano le immagini, William, così si chiama il figlio, è un ragazzo del Malawi che costruisce, tra mille sacrifici e difficoltà, una pompa elettrica ad energia eolica per ribaltare le sorti dei suoi compagni in un periodo di grande siccità: dal film emerge tutta la potenza della generosità del cuore umano quando ci sono in ballo delle vite innocenti.
In conclusione, il premio dell’Organizzazione mondiale contro la tortura è stato assegnato al Congo Lucha di Marlène Rabaud. Prima di realizzare la pellicola, la regista ha seguito per due anni le vicende di LUCHA, un movimento di ragazzi che lottano in maniera non violenta per un Congo democratico, ben consapevoli di rischiare, giorno dopo giorno, la prigione, la tortura, persino la morte: la causa, per loro, vale anche l’estremo sacrificio.
Così la Rabaud descrive l’aspetto più peculiare della realizzazione di Congo Lucha:
Qui le condizioni per girare non sono sempre ideali: installare comodamente la telecamera su un treppiede non è la norma, ma è questo che rende le sequenze molto vive. Si è costretti a muoversi, a seguire il movimento. Questa camera è fluida, è libera, è in modalità automatica per seguire i momenti dell’azione… I movimenti sono la vita.
Marlène Rabaud
Post comments (0)