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Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Lambrusco e popcorn” – Ligabue
Lo avrete probabilmente sentito nominare parecchie volte, ma sapete davvero cos’è uno gnocco fritto?
No, nulla a che vedere con gli gnocchi al ragù del giovedi romanesco, si tratta di ben altro. Ma a livello di golosità viaggiamo ugualmente ad alta quota.
Faremo una passeggiata in Emilia, perchè è qui che ha origine questa prelibatezza. In modo semplicistico mi basterebbe dirvi che si tratta di una pasta lievitata che viene fritta e dorata. E già a sentir parlare di fritto sento che vi state elettrizzando, perchè, si sa, quando si frigge si solletica proprio la gioia del cuore.
Le forme dello gnocco possono essere varie, dal rettangolino al rombo fino addirittura a quello rotondo. Quello che conta è che sia morbido, ben caldo e soprattutto ben abbinato.
Pensate che le origini dello gnocco fritto risalgono addirittura ai Longobardi che conquistarono le terre della regione emiliana, dopo la caduta dell’Impero Romano. A quell’epoca era un semplice sostituto del pane poichè si prepara con farina, acqua, sale e strutto. Lo avreste mai detto che l’uso dei grassi animali in cucina avesse origini così antiche?
Nel tempo furono i contadini i primi ad impadronirsi di questa ghiottoneria, fino a che diventò patrimonio di tutti. Turisti compresi.
Ma, come avviene per buona parte dei piatti regionali, anche per lui vige la “regola” delle diverse varianti. Perchè noi italiani in questo siamo maestri del “paese che vai, usanza che trovi”. Ed ecco quindi abbondare le ricette regine delle varie città della zona.
In territorio bolognese lo gnocco fritto è anche conosciuto come crescentina fritta. A differenza di altre città, i bolognesi prevedono l’impiego di lievito, olio extravergine e latte intero. Nella zona di Parma, invece, assume il nome di torta fritta. La ragione è semplice, i parmensi usavano servirlo anche a fine pasto con una spolverata di zucchero. Col tempo, però, hanno imparato a degustarlo anche con abbinamenti salati, ma li vedremo insieme più avanti.
Nel ferrarese lo gnocco viene chiamato pinzino e in origine aveva una forma rotonda con la superficie bucherellata con la forchetta per non farli gonfiare troppo. Nella bassa piacentina, invece, lo gnocco fritto è chiamato in dialetto locale chisulén, italianizzato in chisolino. Viene dalla cucina povera appartenente al patrimonio gastronomico di Fiorenzuola, tanto da essere anche valorizzato con il marchio De.Co. della città. L’impasto prevede farina, acqua, lievito e strutto, una volta spianato viene tagliato in forme diverse -a grissino, o a losanghe- e poi viene fritto nello strutto.
E arriviamo finalmente allo gnocco fritto più classico. Questa variante è la più conosciuta e più diffusa nelle province di Modena e di Reggio Emilia. E’ quella che, tra l’altro, ha ottenuto il riconoscimento di “prodotto agroalimentare tradizionale” (PAT). Anche in questo caso gli ingredienti di base sono semplicissimi: farina, sale, ma niente lievito, solo acqua gassata, e soprattutto niente olio per la frittura, ma strutto, grazie al quale lo gnocco prende proprio un altro sapore. E per questo servono a ben poco le mie parole, dovete provarli nella loro terra d’origine.
Sarà tutta un’altra storia!
Alla fine di questo elenco possiamo candidamente affermare che conta ben poco come si chiami e da che località venga. Ciò che conta è la sua bontà indiscussa, che prescinde da tutto il resto. Però vi avevo promesso di parlare di abbinamenti, perchè questa specialità si accompagna a tutti i prodotti della zona più invitanti che vi possano venire in mente. Dalla Mortadella di Bologna IGP al più classico Prosciutto di Parma, dal Culatello di Zibello alla Coppa Piacentina. Ma vogliamo parlare dei formaggi? Tra Stracchino e Squacquerone avrete l’imbarazzo della scelta. L’Emilia Romagna non si risparmia in fatto di gusto!
Volete la conclusione perfetta rimanendo nella tradizione? Accompagnate tutto con un buon Lambrusco di zona. E la magia sarà compiuta.
Mescolate le due farine setacciandole bene, preparate una pastella mescolando insieme 100 g di farina – 100 g acqua, il lievito e lo zucchero. Fate lievitare a temperatura ambiente -28 °C- la pastella ottenuta posta in un contenitore coperto da una pellicola alimentare. Aspettate un’ora per far raddoppiare di volume la pasta. Aggiungete il resto delle farine e l’acqua e impastate fino a far assorbire tutti i liquidi.
Stendetelo col mattarello spolverando con un pizzico di farina sopra e sotto e formate un rettangolo spesso circa 3 mm. Tagliatelo a strisce di 5 cm di larghezza e affettatele obliquamente in modo da ricavarne dei rombi.
Written by: Valentina Proietto Scipioni
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