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Non so se è chiaro. E’ in atto una rivoluzione. Su tutti i fronti. Siamo di fronte a un periodo storico che si usa definire “di profondo cambiamento”, il cui motore non è solo l’aver quasi sorpassato una pandemia e quindi l’esigenza di ripartire con le consuete attività, quelle vecchie. Il Mondo ha nuove sfide che muteranno dalle radici il nostro stile di vita e le nostre abitudini. Resilienza, non deve essere più la parola d’ordine.
Tutto questo è il passato. Futuro è la parola chiave, quella sulla bocca di tutti i politici e gli attivisti degli ultimi tempi. Futuro è la prospettiva odierna, non più semplicemente una speranza. E “giovani”, l’altra grande parola. L’una usata per responsabilizzare i più anziani, l’altra per stimolare le generazioni più recenti. Non c’è Piano Nazionale che tenga. Non bisogna ricominciare ma cominciare di nuovo. Da capo, forse.
Ma quale futuro hanno in eredità questi giovani? Quello del lavoro precario, della crisi economica che dura da decenni, dell’emergenza climatica? L’odierna generazione di giovani viene da un background culturale in cui i più anziani dicevano che si doveva lavorare di più, produrre di più, raggiungere uno status, comprarsi una casa, due macchine almeno e, se giravi in bicicletta, eri un radical chic e, se non facevi abbastanza, ti dicevano che eri “braccia rubate all’agricoltura”.
Non c’è un esempio più calzante di questo per dire come i tempi e il mondo stanno cambiando. Se prima, la vecchia generazione, quella yuppie e produttiva, vedeva il mestiere della terra come un sostrato sociale, oggi è completamente diverso. L’agricoltura è il motore della ricrescita del mondo del lavoro, una delle possibili soluzioni al problema climatico e, se prima contadino era come dire “ non hai studiato, vai a zappare”, ora è il contrario. Ne sono una prova i dati. La metà dei giovani imprenditori agricoli è laureata.
Se riusciamo a cogliere che la zucchina non proviene dal supermercato, capiamo che il filone della produzione agricola non comprende solo coltivazione e vendita dei prodotti. Il mondo dell’agricoltura è molto altro. C’è il controllo della qualità, la trasformazione dei prodotti, la garanzia della salubrità. Inoltre, le nuove esigenze in materia di sostenibilità aprono il campo a una serie di politiche e innovazioni tecnologiche che danno modo a nuovi modi di concepire il settore e creano nuovi posti di lavoro. Basti pensare alle energie rinnovabili o tutte le nuove direzioni che apre il mondo dell’agribenessere o la cura del paesaggio. E’ dunque essenziale che una nuova generazione di imprenditori agricoli prenda il posto di quella precedente.
Questo l’Europa lo sa bene ed è per questo che ha in atto una serie di provvedimenti volti ad aiutare i Paesi membri non solo a migliorare l’intero settore agricolo in termini di sostenibilità e innovazione, ma anche i singoli individui. Ad esempio, tutti i coloro che decidono di investire nel settore agricolo hanno accesso ai fondi europei per l’avviamento di un’impresa, oltre ai numerosi contributi fiscali.
Insomma, decidere di cambiare la propria vita e immaginare un futuro legato alla terra non è così impensabile. Anzi, il richiamo della campagna è sempre più forte. E non è detto che questi giovani imprenditori o lavoratori abbiano rilevato l’attività di famiglia, ma diventano agricoltori “di prima generazione”, provengono da esperienze familiari diverse. Questi giovani studiano, si formano, perché anche quello della terra è un mestiere di competenza. E anche qui l’Europa è di aiuto con sostegni e progetti di formazione e scambio accessibili a tutti.
Se vogliamo migliorare il Mondo è dalla Terra che dobbiamo partire.
Written by: Andrea Famà
Agricoltura Ambiente europa LA VOCE DELLA RADIO Lavoro Parlamento europeo
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