Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “La Storia siamo noi” – Francesco De Gregori
La palestra del Liceo Kennedy ha accolto “Testimoni di Testimoni”, per ripercorrere il tragico evento del 16 Ottobre del ’43.
Il progetto nasce nel 2019 grazie all’esigenza di Luca Sonnino e Ariela Della Rocca di condividere le esperienze dei loro nonni e nonne, sopravvissuti ai rastrellamenti del ghetto romano. “Quel Giorno: 16 ottobre 1943” è il titolo del libro che alterna testimonianze dirette a piccole descrizioni dei giovani intervistatori, in quello che è il frutto più prezioso di “Testimoni di Testimoni“. A 4 anni dalla prima stampa e pubblicazione, il libro viene finalmente presentato nel nostro liceo, dove è partito tutto.
Simone Colafranceschi con Laura Cervelli, Zahra Javanmardi e Alice Franceschi
L’organizzatore dell’evento, Simone Colafranceschi– professore del dipartimento Storia e Filosofia del Liceo Kennedy di Roma –, ha tenuto a ribadire l’importanza della sensibilizzazione nelle scuole, quando questa non passa unicamente per fitti muri di parole, come solo i manuali scolastici sanno essere.
“Dobbiamo informare e sensibilizzare i giovani, per abbattere quegli schemi di distanza che spesso si incontrano quando si fa storia. A volte il manuale non basta. Bisogna ricordare questi temi attraverso mezzi vari e più empatici” – Simone Colafranceschi
A pensarla allo stesso modo anche il nostro vicepreside e docente di Matematica e Fisica Francesco Aprea che, consapevole della presenza di alcune forme di antisemitismo tra i giovani, non ci ha pensato due volte ad appoggiare il professor Colafranceschi nella realizzazione di quest’evento:
“Sono convinto che il cambiamento possa avvenire solo a partire dalla scuola, a partire dai ragazzi. Per questo motivo ho appoggiato il progetto, per ricordare creando un contatto emotivo.” -Francesco Aprea
Francesco Aprea con Laura Cervelli e Zahra Javanmardi
Mantenere 4 classi di ragazzi in silenzio, parliamo da adolescenti, è difficile. Ma l’empatia e l’emozione vincono su tutto: le storie di Franca Eckert Coen, Angelo Citoni, Massimo Fini e Settimio Limentani hanno colpito dritto alla sensibilità dei ragazzi che, anche se timida o nascosta, c’è. Ecco perché abbiamo deciso di prendere parte a questa incredibile staffetta di vita, a modo nostro, facendo quello che più ci piace, per non diventare dei semplici zeri.
Il giardino di Massimo
Massimo Finzi con Zahra Javanmardi e Alice Franceschi
Massimo Finzi – medico e Assessore alla Memoria della Comunità ebraica di Roma – nasce a 50 metri dalla nostra centrale, a Via Fabrizi 1, in un complesso di quattro edifici. I suoi genitori si trasferirono lì nel ‘41. Massimo racconta dell’amore di sua madre per il giardino di casa sua, lo stesso giardino che, un anno dopo, ha visto l’ingresso dei tedeschi. Il 16 Ottobre 1943, infatti, una truppa ha fatto irruzione all’ingresso inferiore e i genitori, allarmati, hanno avvolto il loro piccolo tra le coperte, tentando di scappare dalla porta superiore. Una coppia ha convinto la madre a affidarlo a loro fin quando il pericolo fosse passato e, alla perquisizione, lo hanno presentato come loro nipote Paolo Guzzanti – se avete visto LOL oBoris questo cognome vi suonerà familiare-. È stata fortuna, diremmo. Eppure, proprio nel palazzo a fianco, la stessa storia si è ripetuta, ma con un finale diverso. Una bambina della stessa età di Massimo, sua compagna di giochi, è stata caricata su un carro merci e deportata in un campo di sterminio.
“Mentre io dopo una settimana abbracciavo i miei genitori, questa bambina era ridotta in cenere.” – Massimo Finzi, Assessore alla memoria della Comunità ebraica di Roma
Franca e la scuola differenziale
Franca Eckert Feltre
“Un giorno, i miei genitori mi hanno detto: ‘non ti chiami più Eckert. Da adesso sei Franca Feltre. E così esistevano due Franche in me: una ebrea, buona, ma che andava uccisa; l’altra cattolica, a quanto pare buonissima, che aveva il privilegio di sopravvivere.” -Franca Eckert Coen, testimone diretta del 16 ottobre
Franca ha 6 anni quando arrivano i tedeschi. A differenza di Massimo, il 16 ottobre era grande. Ricorda bene e le capita di rivivere le stesse identiche emozioni di quel giorno, mentre parla del libro “Farò e capirò“nato dalle sue preziose testimonianze. Eppure, non le capita spesso di andare nelle scuole a parlare, perché, a detta sua, non c’è tanto da dire: la vita arriva tutta dopo.
“A voi parlano sempre dei morti, non vi dicono mai che gli ebrei sono vivi. Alla morte segue la vita.” -Franca Eckert Coen
Nella sua vita, Franca è stata la più votata della lista civica del sindaco Veltroni, ha permesso la stesura di due libri basati sulla sua incredibile storia ed è stata insegnante in una scuola ebraica per una classe dedicata agli alunni in particolari condizioni di disagio.
Le donne di Ravensbrück
Andrea Di Veroli con Zahra Javanmardi e Alice Franceschi
L’intervento di Andrea Di Veroli, vicepresidente di ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati) Roma, la vogliamo inserire qui, subito dopo il grido alla vita di Franca.
“Parliamo di donne”. Oltre ad essere deportate perché appartenenti alle comunità prese di mira – ebree, lesbiche, rom –, c’era un valore aggiunto alla loro condanna: erano nate donne. Se gli uomini venivano impiegati nel lavoro manuale, il ruolo della donna si esauriva in quello di genitrice. Gli obiettivi erano due: procreare, dunque creare un esercito sempre più numeroso, a patto che rispondessero al modello di razza nazista. Ma anche decontaminare, cioè sterilizzare coloro che erano reputate indegne di proseguire la propria discendenza.
A seguire, parole difficili da digerire. Di Veroli racconta del campo di concentramento femminile di Ravensbrück. Un luogo disumano che accoglieva donne e bambini sottoposti ad esperimenti. Erano cavie da laboratorio forzate a test medici – poi impiegati per curare i soldati al fronte – ma anche la rigenerazione di muscoli e ossa, attraverso le mutilazioni. Donne lasciate a sé stesse, abusate e lasciate sole al momento del parto.
Settimio Limentani e le uova esplosive
Settimio Limentani con i redattori Laura Cervelli e Flavio Gentile
Garbatella era come un paesino e si sa, le informazioni circolano veloci in una piccola comunità. Così, il 16 Ottobre, quando arrivò quella chiamata dal Campidoglio per avvisare l’arrivo dei tedeschi, l’intero quartiere si allarmò. Presto molte famiglie si ritrovarono in mezzo alla strada in cerca di un rifugio e tra queste c’era anche quella di Settimio. Il padre disse a lui e la madre di muoversi verso Casal Bertone, poco fuori Roma. Di lì si trasferirono a casa di un amico con cui il padre era solito giocare a carte. Era un signore vedovo, sposato con la sua vicina di casa e con a carico dodici figli.
Nonostante le difficoltà personali, li accolse e li nascose per un mese. Settimio racconta che non li aveva cacciati, ma che erano stati loro ad andarsene. Una sera, infatti, l’amico portò a casa delle bombe a mano nascoste sotto una cesta di uova. Era un partigiano. Allora, tornarono a Garbatella, dove il portiere della loro vecchia casa offrì loro uno sgabuzzino, al costo di cacciare la famiglia fascista che ci abitava. “Se ti azzardi disgraziatamente a fare la spia e dire che qui ci sono gli ebrei, ti ammazzo mentre dormi” disse la moglie del fascista. Così, Settimio e la sua famiglia vissero per nove mesi al sicuro, con la solidarietà del rione che gli offrì coperte, vestiti e cibo.
A salvare Settimio è stata la compassione e l’umanità di chi gli era accanto. Ha concluso il suo intervento con una frase evocativa:
“Sono fiero di essere italiano” -Settimio Limentani
Angelo Citoni sotto il letto
Angelo Citoni con Zahra Javanmardi e Alice Franceschi
Se l’interesse nell’aria era palpabile, quando il microfono è passato ad Angelo Citoni, la palestra ne era più che satura. Romano di generazioni e primo amore della mitica Carrà, Angelo è sopravvissuto, assieme alla sorella per una serie di fortunate coincidenze.
Abitava in Via Catalana, all’angolo con Via del Portico d’Ottavia, quando la portinaia del suo complesso ha urlato con tutto il fiato: “Scappate, scappate! Arrivano i tedeschi! Sono al portone!”
I genitori non erano a casa quel giorno: la mamma, che aveva avuto le doglie esattamente la sera prima, era a Testaccio per partorire. A prendersi cura di loro c’era solo il nonno che, deportato quel 16 di ottobre, morì ad Auschwitz. Angelo e la sorella si nascosero, lui sotto al letto, lei dietro ad una tenda. A salvarli, un semplice orologio a cucù che ha distratto i due SS e il soldato fascista, incaricati di perquisire tutte le abitazioni. Quello fu l’inizio di una vita vissuta di nascosto, in una scuola di preti.
Paradossalmente, Angelo ora gira per gli istituti a raccontare la sua storia a giovani che conosce anche un po’ troppo bene:
“Alla vostra età gli interessi sono altri. Abbiamo avuto tutti quell’età. Alle volte i giovani non sono interessati a ciò che è successo 70 anni fa, però spiegando, raccontando, può darsi che qualcuno si sensibilizzi” – Angelo Citoni
Quanto vale un 1?
Ariela Della Rocca
Gli interventi si chiudono in un applauso scrosciante e ma le domande sono meno di quelle che i relatori si aspettavano.
“Io ho visto i ragazzi molto interessati; il fatto che non ci fossero domande lo capisco. Spesso è anche paura di essere indiscreti…” -Ariela della Rocca, ex studentessa
E Luca Sonnino è della stessa opinione, anche lui ex studente, presente oggi a scuola con suo nonno Angelo Citoni. Una cosa l’abbiamo notata anche noi: erano tutti a bocca aperta. Un misto di incredulità, tenerezza, paura, rabbia, commozione. In fondo, quando qualcuno vuole davvero parlarci, noi restiamo lì, in silenzio, ad ascoltare.
“Preferisco di gran lunga parlare nelle scuole che con le istituzioni. Ricordatevi: come diceva Trilussa, un 1 vale poco, ma davanti ad una manciata di zeri può diventare moltissimo.” -Massimo Finzi, Assessore alla memoria della Comunità ebraica di Roma
Luca ci ha tenuto a ricordare che il progetto è in continuo cambiamento e cresce di anno in anno: la partecipazione è aperta a tutti, basta informarsi e contattare gli ideatori. D’altra parte il ricordo è l’unico mezzo che abbiamo per rivendicare le identità delle vittime cancellate dalla storia. L’unico manuale d’istruzioni per conoscerci e per evitare che la storia si ripeta. In fondo, basta poco per essere un 1.
SCRITTO DA: Laura Cervelli, Zahra Javanmardi e Alice Franceschi
Franca Coen on 18 Febbraio 2023
Ottima relazione a seguito di un incontro con giovani interessati che hanno creato un ottimo rapporto tra generazioni
Valentina Proietto Scipioni on 21 Aprile 2023
Grazie mille.